Nella cornice di un dolce paesaggio appenninico tipicamente italiano, immersa nel verde smeraldino dei suoi boschi, profumata dall’intenso odore dei tigli, cinta da monti ricoperti di vegetazione d’alto e medio fusto, a 500 metri sul livello del mare sorge Trecchina, antico centro lucano ricco di mille suggestioni non esclusivamente paesaggistiche ma derivanti da storia, arte, folklore e dalle tante piacevolezze gastronomiche rinomate che attingono alla migliore tradizione culinaria della sua gente. Degradando dall’antico borgo medioevale denominato “Castello” il paese si estende verso il “Piano” che costituisce l’attuale centro abitato: il “Castello” e il “Piano” due nuclei diversamente strutturati per impianto urbanistico architettonico, ma armonicamente complementari.
Il borgo, adagiato su di uno sperone roccioso inaccessibile della valle, fortificato da tre torri, di cui una in buon stato di conservazione, mantiene intatti angoli di rara bellezza e antiche abitudini di vita. Finestre, loggiati sormontati da archi, balconi adorni di gerani e mentuccia si aprono su un dedalo di viuzze che si inerpicano dal vallone fino al punto più alto ove ruderi del castello baronale del ‘500 testimoniano secoli di storia di questa comunità.
Mirando dall’alto del “Giardino Belvedere”, l’occhio spazia abbacinato dallo spettacolo che offre la splendida valle sottostante dalle tinte fluide e dolcissime ove si fondono, come in un acquerello, l’argento del fiume Noce e le varie tonalità di verde della vegetazione tra cui appaiono incastonati numerosi casolari, i paesi della valle e i deliziosi “villaggi”.
Cuore del paese è la bellissima “Piazza del Popolo” autentico gioiello e palcoscenico naturale della vita trecchinese le cui quinte sono costituite da alcuni palazzi di stile liberty che si affacciano sul viale Jequiè. Impreziosita da variopinti giardini, la piazza diventa, soprattutto nella stagione estiva, il luogo dove si allestiscono mostre di pittura, di artigianato, di prodotti tipici e di arte contadina, per non tacere degli spettacoli teatrali e dei concerti sotto la luna. E’ ancora qui che si erge la chiesa madre, dedicata a San Michele Arcangelo, realizzata fra il 1840 e il 1878 solo con le offerte e il lavoro di tutti i fedeli. All’interno si possono ammirare tele della scuola napoletana, medaglioni e la volta affrescati dal Lanziani e restaurati di recente da Larocca.
Cenni storici a cura di Giuseppe Mensitiere
Si racconta che gli abitanti della greca Heraclea Trachinia fuggirono quando Serse invase quella città per attaccare i Greci alle Termopili e che i fuggiaschi giunsero nel nostro territorio, ove si insediarono e lo ribattezzarono con lo stesso nome del luogo di provenienza (480 a.C.) .
Nel IV sec. a.C. certamente i Romani fondarono un castrum sul territorio, in occasione della seconda guerra sannitica (337-304 a.C.).
Verso la fine del III sec a.C. questi luoghi videro le scorribande di Pirro lungo il fiume Noce, durante le infruttuose guerre contro i Romani.
Probabilmente Alarico, intorno al 410 d.C., costruì una roccaforte sul fiume Noce, che i Saraceni successivamente distrussero.
Poi arrivarono i monaci Basiliani che contribuirono alla diffusione del cristianesimo.
Intanto i Longobardi di Salerno si spinsero fin sulla Valle e costruirono una roccaforte più grande e più sicura di quella gotica, lì dove oggi sorge il rione Castello, profilandosi, a questo modo, una connotazione urbanistica del paese (X-XI sec.).
Qui arrivarono, poi, i Normanni, gli Svevi, gli Angioini, gli Aragonesi e gli Spagnoli.
Questi ultimi rimasero saldamente legati ai luoghi fino all’Unità d’Italia, eccettuato il periodo napoleonico, mentre i feudatari si succedevano frequentemente, perché il territorio era infruttuoso e, quindi, poco appetibile.
Nel XIII sec. certamente vi fu la presenza degli Aleramici, importante famiglia feudale piemontese di origine franca, anche in conseguenza della crociata contro gli Albigesi indetta da papa Innocenzo III, in cui furono trucidati decine di migliaia di Catari. La presenza di coloni di lingua galloitalica a Trecchina influì sul dialetto che costituisce, tutt’ora, un’isola glottologica.
Nel periodo napoleonico la zona fu interessata dal brigantaggio. Celebre fu il brigante Luca Conte che riuscì a mettere insieme circa cento banditi, imperversando su tutto il lagonegrese.
Tristemente celebre rimase anche la sua compagna, certa Caterina Maimone, che pare avesse il compito di sgozzare i prigionieri, al fine di far risparmiare le munizioni alla masnada, non prima di aver indossato un grembiule.
Il brigante saltò in aria con parte della sua banda, sparando su una cassa in cui credeva vi fossero armi, ma che invece conteneva esplosivo.
A cavallo tra il 1500 e il 1600 Giovanna Zupia, duchessa di Saracena e di Trecchina, si innamorò del paese tanto che fu l’unica feudataria che visse molto nel castello. Quest’ultimo fu poi abbandonato e crollò a seguito di terremoti.
La Piazza si cominciò a popolare nel Settecento. Qualcuno ebbe l’intuito di far costruire, intorno a questa grande aia, case strette affinché tutti potessero avere un posto su cui affacciarvisi.
La abitazioni vennero, poi, soprelevate o ricostruire nei primi del Novecento, in stile dell’epoca, con le rimesse degli emigranti. Infatti, dopo l’Unità, molti emigrarono in Brasile, fondando la città di Jequié, nello stato di Bahia. E oriundi trecchinesi sono, tra gli altri, Emerson Fittipaldi, campione della Formula 1, Antonio Lomanto, già Governatore dello Stato di Bahia, Sante Scaldaferri, noto pittore contemporaneo.
Di Trecchina ne parla Giovan Battista Basile ne “Lu cunto de li cunti” (1634), mentre decantò il suo vino il bibliofilo napoletano Gino Doria.
Giorgio Bassani amava Trecchina, la cui piazza la definiva un salotto, e veniva spesso a godersi il profumo dei tigli e l’amenità dei luoghi. Trascorreva ore in un’antica pasticceria, posta in un unico locale annerito dal fumo del forno a legna, in cui l’anziana e simpatica proprietaria cuoceva i dolcetti di noci e i bocconotti.